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Serbia - 15 ottobre 2014Torna all'indice →

Successo per la mostra sui Kotoko al Museo di arte africana di Belgrado

Visto il notevole successo di pubblico, è stata prorogata fino al 2 novembre la mostra “I cavalieri dei Kotoko, custodi dell'anima”, organizzata a Belgrado dal Museo di Arte Africana e dall'Istituto Italiano di Cultura. Si tratta della prima esposizione italiana allestita nella cornice esotica di questo museo. L’esposizione è costituita da più di trecento statuine in metallo, realizzate da artisti dei Kotoko, una popolazione semi-nomade che vive sulle sponde meridionali del lago Ciad, più precisamente tra Camerun, Ciad e Nigeria. Si tratta di una collezione esclusiva, di cui ogni esemplare è un'opera d'arte, una sorta di “universo artistico in miniatura, con aspetti di grande interesse estetico ed antropologico, pur nelle sue minuscole dimensioni”, scrive Pierluigi Peroni, collezionista e studioso italiano di arte africana. La mostra è curata da Marija Licina e Dragan Miskovic, antropologi e studiosi di arte africana dell'Università di Belgrado. Per promuovere e valorizzare l'esposizione, oltre ad un programma di visite guidate e ad alcuni incontri di riflessione scientifica e accademica, sono stati anche allestiti, ogni domenica, programmi e laboratori per bambini, in cui i piccoli hanno la possibilità di realizzare i loro cavalli e cavalieri in creta sull'esempio di quelli degli artisti Kotoko. Nel frattempo i genitori e gli altri visitatori hanno la possibilità di partecipare a visite guidate che presentano la cultura kotoko e la sua regione geografica d'origine. I “Putchu Guinadji” - questo è il nome delle statuine - sono piccole sculture, soprattutto in bronzo, ma anche in ferro, rame, stagno o leghe di metalli poveri, realizzate con la tecnica della “fusione a cera persa”, che non superano gli undici centimetri di altezza. Rappresentano cavalieri in groppa ad un cavallo e in rarissimi casi un cavallo senza fantino. Sono anche preziosi talismani, “custodi dell'anima” che, secondo la credenza popolare dei Kotoko, rivestono una vera e propria forma di terapia contro la follia e la possessione. Il cavallo rappresenta lo spirito dell'individuo posseduto dalla malattia. Il cavaliere è, invece, lo spirito che lo possiede. I cavalieri sono quasi sempre armati perché devono difendere il malato dagli spiriti maligni; può succedere anche che i cavalli trasportino un coccodrillo, per intimorire gli spiriti malvagi e allontanarli dal malato. Come per tutta l'Arte Primitiva Africana, anche i “Putchu Guinadji” dei Kotoko ci fanno riflettere sulle ragioni per cui molti dei grandi artisti del primo Novecento - da Amedeo Modigliani a Marino Marini, da Pablo Picasso a Paul Cèzanne, a Arman Fernandez; da Paul Klee a Alberto Giacometti, a Max Ernst a Constantin Brancusi - siano stati appassionati collezionisti di arte africana e da essa abbiano tratto proficua ispirazione per il loro percorso artistico.